Il ciclismo, a tutti i livelli, è uno “sport di merda”, lo pensano in molti anche e soprattutto gli automobilisti, ma non è di loro che voglio parlare.
E l’ho pensato tante volte anche io, con sfaccettature sempre diverse a seconda delle occasioni.
Ho iniziato a praticare questo sport in tarda età, nel 2004 dopo un bruttissimo infortunio alla caviglia sinistra (rottura di entrambi i malleoli) in una partita di calcio per beneficenza, quando per fare riabilitazione comprai una cyclette dalla Decathlon.
Una noia mortale stare a casa e pedalare anche due ore al giorno, io che ho sempre odiato anche andare in palestra perché luogo “chiuso” a casa mi sentivo in prigione tra stampelle e tutori.
Così decisi di comprare una mountain bike. Ne ordinai una di marca Whistle, nera, bellissima, ma senza grosse pretese, da neofita.
Iniziai a girare per le campagne del mio paesino, da solo. Una noia mortale anche questa, anche quando iniziai a pedalare al Castello di Sant’Elia o alla Madonna dell’Alto. E sì, sono incontentabile, ma questa non è una novità.
Per caso, in un negozio di biciclette di Salice Salentino, una sera incontrai Carlo. E fu la svolta!
Ci demmo appuntamento per la domenica successiva e da lì in poi le cose cambiarono drasticamente.
I giri in bici divennero sempre più frequenti e più belli, non mi annoiai più, anzi inziò il vero divertimento senza seguire tracce ma sempre improvvisando percorsi e senza una meta precisa.
Poi a noi si aggiunsero man mano tanti altri amici che avevano abbandonato e altri che iniziarono a pedalare con me.
La prima bici era ormai troppo “senza grosse pretese” e comprai una Specialized Epic full rossa (perchè nel frattempo avevo finito di pagare il mutuo per la casa, era il 2009).
Conobbi un sacco di appassionati come me, anche ex ciclisti quasi professionisti, e quasi per gioco mi ritrovai a far parte del “Pedal Club asd” di Trepuzzi. Tesserino UISP, dopo le visite mediche di rito, e prime gare di cross country a livello locale e qualcuna a livello regionale con qualche qualche marathon. Il tutto inframmezzato da cadute, infortuni vari – uno serio, serissimo – tante iastime e spesso accompagnato dalla voglia di mollare tutto.
Altro cambio bici, questa volta una Merida O’Nine, in carbonio, nera, una scheggia, la bici più performante che abbia mai avuto, che con una serie infinita di upgrade divenne una specie di Formula1.
Passai dai 107 kg a pesare 79.9 kg (obiettivo che mi ero prefissato perché era mia intenzione comprare una forcella DT-Swiss che aveva come limite di peso 80 kg). Adesso non voglio annoiarvi con i bpm, soglie massime, medie, minime, ecc., ma il mio modo di andare in bici e di tenermi in forma cambiò completamente. E cambiai anche io: ceretta, polpaccio canforato, casco-scarpe-occhiali-guantini-accessori che nemmeno a Pitti Uomo, fino a quando mi resi conto che stavo bene fisicamente sì, ma non era proprio quello che volevo e stavo esagerando un po’, tanto per dirla tutta. C’è da dire però che sia nelle gare che negli allenamenti ho sempre cercato di divertirmi senza pensare né a classifiche (perché ero davvero molto molto scarso) né alla prestazione in sé. Delle gare mi piaceva il prima e il dopo, un po’ meno il durante.
Andai di nuovo da Angelo e gli chiesi di prendere in permuta la Merida per passare ad una bici da corsa, perché iniziarono i dolori alla schiena e alle braccia, troppe botte prese.
Fu un errore gravissimo, ma tant’è! Comprai una Kuota Karma, stupenda, un missile, altro che Formula1. Ma non ci fu mai feeling tra me e lei, mi sentivo insicuro, troppo fragile per i miei gusti quando pedalavo avevo la sensazione che si spaccasse in due da un momento all’altro, insomma troppo delicata con quei copertoncini così esili.
Dopo 6 mesi ritornai da Angelo lasciai la Kuota per prendere di nuovo una mountain bike, una Focus Raven in carbonio. In pratica fu come passare da una BMW coupé ad una Uaz 4×4. E questa volta non sbagliai.
Fui invitato più volte ad iscrivermi alla squadra locale CiclistiCampi, ma, conoscendo il mio caratteraccio (anche questa non è una novità), declinai l’invito.
E non è vero che il ciclismo è uno sport di squadra, il ciclismo è di un individualismo da far paura (affermazione sulla quale molti non saranno d’accordo) e violento quasi quanto il gioco degli scacchi.
Da allora esco in bici quando posso, cioè solo la domenica, ma tutte le domeniche e con qualsiasi condizione meteo, anche con la neve, con la pioggia, con il sole che spacca le pietre.
Perché per me andare in bici è un modo “cu me difriscu la capu”; perché per me andare in bici vuol dire fare una prima sosta “caffè e pasticciotto” e una seconda “coca-cola e rustico”, scattare qualche foto, ridere e giocare, sorridere e scherzare.
E fa bene alla salute (e qui mi tocco… non sono scaramantico, però), perché a 50 anni suonati la mia soglia a riposo è pari a 48 bpm, perché riesco a non andare mai fuori soglia teorica, nemmeno nelle salite più impegnative, nemmeno quando mi metto davanti e tiro, perché, anche grazie all’aiuto dei vari dispositivi tecnologici, resto sempre in zona “brucia grassi” o al limite in zona “aerobica”.
Da qualche mese mi fa ancora più bene, perché anche Giulio si sta appassionando a questo “sport di merda”.
E questo è.